Il doping è un male antico che ripercorre la storia dell’uomo.

La prima volte che, storicamente, viene ufficialmente introdotto in campo sportivo il vocabolo “doping” risale al 1989 con preciso riferimento ad una miscela costituita da oppio, altri narcotici e tabacco che veniva somministrata negli ippodromi dell’America del Nord ai cavalli da corsa.

Si fa risalire l’origine di questo termine al verbo inglese “to dope” che significa imbrogliare, truffare o ingannare. Doping è quindi la definizione che più si avvicina al concetto sportivo di comportamento sleale e scorretto.

L’assunzione di sostanze con lo scopo di aumentare la prestazione fisica è un problema che appartiene al mondo sin dall’antichità. In Grecia, durante i giochi olimpici, gli atleti assumevano decotti di piante e particolari funghi per aumentare la resistenza alle corse di fondo.

Gli antichi Romani ricorrevano a qualità differenti di carni in base allo sport (carne di capre per il saltatore, di antilope per il corridore, di toro per il lottatore) associate a sostanze stimolanti quali l’idromele.

In Cina si utilizzavano estratti di esedra, una pianta ricca di un alacaloide, l’efedrina, che determina una forte azione stimolante.

In Europa i guerrieri della mitologia nordica accrescevano le loro forze bevendo decotti di amanita muscarina, un fungo che contiene un potente alcaloide dell’effetto stimolante.

In America del Sud assumevano la coca, il maté e il guaranà mentre in America del Nord si usava il Peyote, anch’esso a base di mescalina.

In Africa, durante le gare di corsa, gli atleti utilizzavano foglie di cola ed il “dop”, una miscela a base di sostanze stimolanti ed alcool, con lo scopo di aumentare le prestazioni e ridurre la fatica, nature conseguenza dello sforzo.

Già nel corso dell’ottocento e dei primi decenni del novecento, con lo sviluppo delle conoscenze mediche e farmacologiche, anche il doping diventa più scientifico interessando sostanze che fino ad allora erano state utilizzate come farmaci. Gli atleti iniziano così ad assumere la nitroglicerina, la cocaina, l’eroina, la stricnina, l’arsenico, la caffeina e le anfetamine.

Come conseguenza di questa pericolosa tendenza, nel 1886 si segnala il primo caso di morte ufficiale per doping durante una gara di ciclismo.

Si deve arrivare agli anni ’60 per avere i primi divieti sull’uso del doping, sollecitati soprattutto da un evento clamoroso avvenuto durante una tappa durissima del Tour de France del 1967 dove il campione del mondo di ciclismo Tom Simpson decedeva in seguito all’assunzione di farmaci stimolanti.

Nel 1970 durante i mondiali del Messico, anche il calcio avviò i controlli antidoping.

Negli anni ’80 l’evoluzione delle pratiche dopanti, soprattutto negli sport di resistenza, si è rivolta versa la tecnica dell’autoemotrasfusione per arrivare poi nei giorni nostri all’assunzione di ormoni sempre più sofisticati con il GH (ormone della crescita), gli ormoni peptidici, l’eritropoietina (EPO) e i sui derivati.

Come riportato nella pubblicazione “Un goal per la salute”, il doping è contrario ai principi di lealtà e correttezza insiti nella competizione sportiva, ai valori culturali dello sport, alla sua funzione di valorizzazione delle naturali potenzialità fisiche e delle qualità morali degli atleti.

Pietro Mennea diceva:

Ho cercato di trasmettere le mie esperienze nei numerosi libri che ho scritto soprattutto per stimolare i giovani a credere nello sport vero. Ricordando che il doping è il primo nemico delle regole agonistiche, anche se, costituendo un business gigantesco, purtroppo è una piaga difficile da estirpare.

L’assunzione di sostanze illecite o lecite, senza una reale necessità terapeutica, al solo scopo di potenziare la propria prestazione, è estremamente pericolosa per la salute.

La pressione esercitata sugli sportivi, siano essi professionisti o dilettanti, affinché “vincano” sempre deriva da obblighi sociali, economici e politici delle manifestazioni nazionali e internazionali. Spesso a causa dell’eccessiva e ravvicinata frequenza delle competizioni, l’atleta è costretto a recuperare la condizione fisica sempre più in fretta nel poco tempo che resta per adeguati allenamenti. Il ricorso all’assunzione di farmaci leciti come gli antinfiammatori e gli integratori diviene quindi una necessità ma può diventare dannosa per la salute se si eccede. E’ sempre utile rivolgersi al medico in quanto egli conosce i corretti dosaggi terapeutici per evitare i possibili effetti collaterali, per cui prescrive il farmaco tenendo conto del rapporto rischi/benefici e mettendo in primo piano il vantaggio per la salute del paziente.

I fattori di rischio (Tabella 1) ovvero quei fattori che rendono più probabile il ricorso al doping, sono molteplici ( Wills et al.,1996 Singer & Treutlein, 2000).

 

Premessa l’esistenza dei fattori di rischio, il fattore scatenante diretto può essere costituito dalla presenza di una o più persone significative che, nelle vesti di “persuasori” cercano di convincere il giovane a fare ricorso al doping.

Sostanze come le amfetamine, gli stimolanti, la cocaina, l’eroina e la cannabis non solo sono stupefacenti, ma sono inserite nella lista   WADA come dopanti e sono tra le più pericolose per i loro gravi effetti tossicologici sull’organismo e in particolare per i danni su cervello, sistema cardiocircolatorio e sistema nervoso. Uno dei danni comunemente causato da queste sostanze è rappresentato dal verificarsi di una inevitabile dipendenza fisica e psichica. L’uso massiccio e protratto di stimolanti e di anabolizzanti produce il medesimo effetto, determinando rapidamente uno stato di dipendenza. Uno studio sugli effetti prodotti dall’abuso di anabolizzanti, inoltre, ha dimostrato che questi ultimi inducono alterazioni della personalità, dell’umore e della salute mentale, come psicosi, schizofrenia e disturbi della memoria (Williamson & Young, 1992).

Per chi fosse interessato può visionare la lista delle sostanze dopanti regolarmente aggiornata dall’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) al seguente link: www.wada. Ama.org

Gli effetti del doping inoltre non sempre si vedono nell’immediato e questo può portare anche a sottovalutare il danno solo perché non subito visibile. La persona non correttamente informata può anche minimizzare le conseguenze pensando ad esempio “cosa mi può mai succedere se lo prendo una sola volta?”

Vittoria e sconfitta fanno parte dello sport, un buon sportivo lo sa, cerca di dare il meglio di se,  di impegnarsi al massimo. Un buon atleta cerca di raggiungere il risultato attraverso le proprie capacità e nel rispetto delle regole.

Genitori, tecnici e dirigenti hanno un ruolo chiave nel trasmettere ai ragazzi/e i valori dello sport e possono contribuire a creare un contesto sportivo protetto in cui i ragazzi possono crescere nello sport in modo sano, dando loro la possibilità di esprimere le loro potenzialità. Vediamo di seguito (Tabella 2) come si potrebbero brevemente riassumere gli obiettivi della prevenzione.

 

 

È dunque  fondamentale che l’allenatore veda le potenzialità dei suoi atleti, le loro capacità, che sia in grado di infondere loro fiducia. Una buona autostima è un fattore protettivo, fa sì che la persona sia consapevole del suo valore e delle sue capacità. Altri fattori protettivi sono: informare i giovani sugli effetti dannosi del doping sull’organismo, informarli , inoltre, su cosa sia un’alimentazione equilibrata e uno stile di vita corretto e sano, creare offerte di pratica sportiva giovanile finalizzate alla costruzione a lungo termine della prestazione ed infine aiutare i giovani a sviluppare e potenziare le caratteristiche psicologiche e motivazionali che li rendono resistenti alle pressioni sociali.

L’atto che precede l’assunzione di sostanze dopanti è la presa di decisione (Decision Making). Le persone decidono in base al valore atteso di ogni decisione, cioè facendo un’analisi dei costi benefici di ognuna delle alternative di azione fra le quali possono scegliere. Ma il Decision making non è un processo del tutto razionale: individui diversi attribuiscono un valore differente ai diversi obiettivi. L’irrazionalità e la soggettività della scelta è tanto maggiore nei giovani e giovanissimi che dispongono di un bagaglio di informazioni e di una capacità di ragionamento logico inferiori a quelli degli adulti. Per ridurre, dunque, la probabilità che i ragazzi, se posti di fronte all’offerta decidano in favore del doping, occorre rafforzare la loro capacità di prendere decisioni razionalmente e autonomamente (Sheppard et al., 1988). A tal fine occorre farli esercitare in tutte le operazioni di cui si compone un processo di decisione razionale: la presa di coscienza degli obiettivi che si prefiggono di raggiungere, l’analisi delle alternative di azione possibili e la valutazione della probabilità di occorrenza di conseguenze positive e negative. Allenare alla presa di decisione è tanto più utile nel caso della scelta se fare o no ricorso al doping perché so tratta di una decisione che comporta una situazione di conflitto e di dilemma morale.

Qui di seguito è descritta (tabella 3) la procedura di allenamento della presa di decisione sviluppata da Treutlein, Janalik & Hanke (1992,1996) e discussa sa Singler & Treutlein (2000) specificatamente per la presa di decisione relativa al doping.

 

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