E’ possibile definire l’infortunio come: “evento accidentale, traumatico, microtraumatico o atraumatico, che comprometta le condizioni fisiche del  giocatore al punto tale da impedirgli lo svolgimento  dell’attività per almeno 48 ore consecutive,  escluso il giorno stesso dell’evento” (R.J. Price, R.D. Hawkins, M.A. Hulse and A.Hodson, 2004).

L’infortunio come evento accidentale e talvolta traumatico, che compromette l’attività dello sportivo e può essere classificato secondo diversi livelli di gravità (Lieve, Minore, Moderato, Grave) in base alla valutazione del danno e alla prognosi, rispetto i giorni in cui l’attività sportiva è bene che sia sospesa. Stiramenti, contusioni muscolari, distorsioni articolari costituiscono la maggior parte della tipologia di infortuni. Una panoramica sui momenti di una partita in cui nel calcio ci sono “picchi” nel numero di infortuni (ultimi minuti del primo e del secondo tempo, fase di riscaldamento) apre lo scenario a quali altri aspetti possono risultare fondamentali da considerare per cercare di prevenire più possibile gli infortuni.

In ambito di psicologia sportiva le ricerche più recenti stanno progressivamente dimostrando la patogenesi multifattoriale degli infortuni sportivi (Lysens, de Weerdt e Nieuwboer, 1991; Williams, 2001): ormai risulta accettato il fatto che alcuni fattori di rischio, anche molto diversi fra loro, interagiscano nel processo di genesi degli infortuni sportivi. Questo filone di ricerca sostiene un’idea ormai generalmente accettata di come si possano distinguere due macro tipologie di fattori di rischio, strettamente interconnesse e riferite a: (a) cause estrinseche, legate al tipo di sport e di attività motoria svolta, al modo in cui è praticata, ai fattori di contesto, all’equipaggiamento, etc.,e (b) cause intrinseche, riferite alle caratteristiche personali, tanto fisiche quanto psicologiche, dell’atleta infortunato. Ciò che non è ancora chiaro, comunque, è come alcuni fattori fisici e psicologici, o combinazioni fra questi, possano predisporre maggiormente alcuni atleti ad un più alto rischio di infortuni sportivi. Sono infatti ancora pochi gli studi dedicati all’analisi della vulnerabilità agli infortuni (modelli di pre-injury vulnerability), che consentono di predire le cause degli infortuni sportivi e di contribuire, così, allo sviluppo di strategie e di interventi di prevenzione sempre più efficaci (Johnson, 2007).

Gli psicologi dello sport Jean Williams e Mark Andersen (1988) hanno sviluppato, e successivamente rivisto (1998), quello che è considerato il più influente modello teorico negli studi psicosociali sugli infortuni sportivi il cosiddetto Stress- Injury model (Figura 1) contribuendo a chiarire in questa cornice teorica il ruolo che alcune variabili psicosociali giocano nel processo di infortunio sportivo.

Questo modello sostiene come la relazione fra infortuni sportivi e variabili psicosociali sia mediata primariamente dalla percezione e dalle risposte allo stress, tanto di tipo cognitivo quanto in termini di cambiamenti fisiologici e attentivi (Weinberg e Gould, 2007): gli atleti che tendono ad esacerbare le risposte allo stress (per esempio, gli atleti e le persone che hanno una lunga esperienza nella percezione di stressor e scarse risorse di coping) sono quelli che, quando sottoposti ad una situazione atletica stressante, con maggiore frequenza valuteranno il contesto come tale e che esibiranno, di conseguenza, una maggiore attivazione fisiologica ed una più evidente compromissione degli aspetti attentivi (Johnson, 2007). Tensione muscolare, distraibilità e restringimento percettivo sono, ad esempio, alcuni fenomeni collegati alle risposte allo stress che appaiono fra i meccanismi alla base dell’aumento del rischio di infortuni sportivi (Andersen e Williams, 1999).

 

 

L’infortunio e’ una componente del mondo dello sport, come detto precedentemente, e’ un evento multifattoriale in quanto ha una connotazione fisica, psichica e sociale, ha inoltre un impatto multidimensionale: benessere fisico, emozionale, sociale, del sé. I fattori psicologici hanno un peso notevole e influenzano, direttamente o indirettamente, la natura, l’efficacia e la qualità della gestione immediata dell’infortunio, del percorso riabilitativo e del successivo ritorno allo sport.

Gli aspetti psicologici risultano fondamentali nella gestione della fase acuta, della fase di riabilitazione e del rientro in campo. Nella fase acuta possono osservare emozioni e sentimenti – rabbia, ansia, tristezza, incredulità- espressi con diversa intensità, e le reazioni cognitive più diffuse catastrofizzazione, colpevolizzazione, negazione. La fase di Riabilitazione mette a dura prova l’atleta, ad esempio sono tipiche le reazioni come senso di sfiducia, sensazione di perdita, senso di minaccia, senso di solitudine. La fiducia in sé stesso è fondamentale e nel percorso medico-fisioterapico che segue e potrebbe venire meno per i tempi e la non totale ripresa, in tal caso l’intervento psicologico è fondamentale. Parlando del rientro in campo vanno gestiti la paura del re-infortunio e la necessità di comprendere che lo stato di prontezza fisica e lo stato di prontezza psicologica non sempre coincidono.

 

 

 

 

 

Workshop sul tema Trattamento e Prevenzione dell’infortunio

CFT di San Fermo delle Battaglia (Como), 27 marzo 2017

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